So perfettamente che il termine paninaro a Catania ha una connotazione
diversa da quella della subcultura diffusasi nel nord Italia negli anni 90. Sono
passati vent’anni e mode e tendenze sono cambiate, ma esiste un comune
denominatore fra i paninari di ieri e di oggi, ed è il panino. Non solo, ma ci
arriveremo fra poco.
Piccola premessa: i paninari furono i primi fan del cibo d’oltreoceano,
fashion victim ante litteram, che avevano come unico riferimento gastronomico Mcdonald’s,
tutto questo a Milano e Roma.
A Catania da sempre lo street food è stato di due tipi: paninari
(ridondanza) e carne di cavallo. Sospendiamo commenti e aneddoti sulla
quantità, provenienza, igiene e banalità dell’offerta che c’è attorno al
meraviglioso mondo equestre.
Il paninaro a Catania è un’istituzione
trasversale, è la prima forma di emancipazione giovanile, quando mangiare fuori
costa troppo l’adolescente incurante di materie prime e igiene in cucina può
trovare dal paninaro – con una modica cifra – la cena per una serata con gli
amici. Poi ci sono gli avventori della notte affetti da quella che clinicamente
viene definita fame chimica.
Arriviamo a oggi: i cittadini sui social network si indignano per
quello che è successo in una tranquilla domenica autunnale nel lungomare di
Catania. Lungomare chiuso dal Comune una domenica al mese per consentire di
avere un’area libera dalle macchine vicino al mare, praticamente un ghetto
panoramico, ma meglio di niente.
Insorgono i paninari che criticano la chiusura come motivo di mancati
incassi. Protesta con striscione e cori, intimidazioni a un ciclista reo di
avere un sistema di amplificazione montato sulla bici, botte, corse, ospedale*.
Non entrerò nel merito della questione delle botte e tutto il resto.
Io parlo di cibo e i paninari quello vendono, la cultura del cibo in questa
città è sparita e la colpa è anche la loro.
Classifica dei migliori ristoranti redatta dall’espresso: nessun
ristorante catanese.
Il cibo di strada è nella nostra cultura, ogni città d’Italia ha la
sua specialità e viaggiando per lo stivale potete trovare cibo non sempre sano,
ma sicuramente legato alla tradizione. Pane e panelle o milza, pizza,
panzerotti, porchetta, piadine e tigelle, pesce fritto, salamella fino ai wurstel
del Sud-Tirol e persino il kebab gastronomico. In questa città la cultura
gastronomica rappresenta un buco nero che inghiotte passato, presente e futuro.
In termini numerici i paninari sono il posto dove si mangia più spesso
se si esclude casa propria. Cosa
offrono? Il peggio che il mercato alimentare possa offrire. Prodotti di bassa
qualità, cucinati male, tenuti peggio e privi di ogni spunto interessante.
Mentre siamo bravissimi a fare i conti all’esercente che vende un
piatto di pasta a 9 € (in un ristorante) nessuno si pone il quesito di come un
panino formato da pane, carne, formaggio, altri 2 condimenti (condimenti a loro
volta composti) e patate fritte possa costare non più di 3,50€.
Mentre nel meraviglioso mondo di internet si discute di lievitazione
naturale, prodotti bio, macinatura a pietra, allevamento libero, filiera corta
e km0, gelati artigianali e tutto ciò che il meraviglioso mondo gastro hipster
produce, noi, qui, abbiamo i paninari. I paninari, l’ultimo avamposto del
peggio in tavola.
La nostra cultura culinaria, ma non quella di noi giovani gastro
fighetti, ma quella delle nonne e delle nostre madri è affogata in un mare di
conservanti, maionese, cipolla troppo fritta, salse, abbinamenti da arresto,
porchetta e doppio formaggio.
Il peggio che questa cultura ha prodotto non è nelle immagini dell’aggressione
che ben presto verranno dimenticate, ma nella ferita profonda che tale mercato
ha portato alla nostra storia. Abbiamo scelto la quantità a discapito della
qualità. Da quello il passo è stato breve, pagare il giusto è sempre troppo.
Oggi si parla di boicottarli perchè violenti, pensate che abbiano trattato meglio il vostro palato?
Ma non potevamo volerci tutti un po' più bene e scegliere cibo migliore?
E' strano come si sia passati dalla ricerca del bello alla fuga dal bello.
Ma non potevamo volerci tutti un po' più bene e scegliere cibo migliore?
E' strano come si sia passati dalla ricerca del bello alla fuga dal bello.
In una manifestazione di cucina
uno chef mi disse: la cucina non è solo un insieme di ingredienti. Non si
tratto solo di tecniche di cottura. Ci sei tu, la musica che ascolti, i film
che guardi, la gente con cui parli.
Nel piatto metti la tua cultura
i sapori ci sono già.
Le persone che vengono criticate oggi perché violente
sono le stesse che vi hanno fatto da mangiare fino ad adesso, e la loro
violenza era chiara anche allora.
Ricetta al volo, per capire di cosa stiamo parlando
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